Prevenzione del suicidio: una luce fuori dal tunnel

A cura della Dott.ssa Carmen Giannetti

“Carissimo, 

sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco neanche a scrivere come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi.

Quella che avete appena letto è la lettera che la scrittrice Virginia Wolf lascia al marito prima di suicidarsi, il 28 marzo del 1941. Colpisce molto la frase “perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare”, ossia suicidarsi, quando guardandosi intorno non si riescono a vedere altre soluzioni o alternative.

Secondo lo psicologo statunitense Edwin Shneidman la componente principale del suicidio sarebbe rappresentata da un dolore mentale insopportabile, una sorta di << tormento nella psiche>>, conseguente alla e negazione di bisogni psicologici. L’autore individua, inoltre, tra le principali fonti di dolore e frustrazione: vergogna, colpa, rabbia, disperazione, solitudine etc.

Nel corso di tutta una vita trascorsa a studiare il suicidio, Shneidman ha appurato che porre domande quali <<Dove senti dolore?>> e <<Come posso aiutarti?>>, a persone che hanno intenzione di suicidarsi, può avere una rilevanza molto importante.

La vicinanza di altri esseri umani risulta fondamentale dal momento che, nella concettualizzazione dell’autore, il suicidio viene accostato ad una sorta di dialogo interiore  durante il quale la mente passa in rassegna tutte le opzioni possibili per risolvere un problema e, pur rifiutando l’idea emergente di un suicidio, alla fine la ricerca delle opzioni fallisce e accetta il suicidio come l’unica possibilità per mettere fine ad emozioni estremamente angoscianti e intollerabili: una sorta di visione tunnel della vita dove il suicidio non rappresenta la ricerca della morte, bensì il tentativo di fermare per sempre il flusso di idee connesse all’eccessiva sofferenza psicologica.

La prevenzione al suicidio è, oggi, la missione sostenuta dall’International Association for Suicide Prevention (IASP), co-sponsorizzata dall’OMS -Organizzazione Mondiale della Sanità – . L’obiettivo principale di tale missione è promuovere la consapevolezza, da un punto di vista tanto scientifico quanto sociale, che il suicidio sia un fenomeno che si può evitare specie cercando di potenziare una corretta e tempestiva prevenzione.

Nella letteratura psicologica si parla di fattori di rischio ( individuali o ambientali), fattori scatenanti e fattori di protezione che si combinano tra loro dando luogo all’ipotetico atto suicidario.

Risulta fondamentale avere consapevolezza di questi fattori, saperli osservare e individuare al fine di prevenire il rischio suicidario e potenziare i fattori protettivi; specie in un periodo tanto complesso e problematico come quello da cui proveniamo a causa della diffusione da COVID-19.

Tra i principali fattori di rischio possiamo citare: precedenti tentativi di suicidio, malattie mentali, alcolismo, difficoltà finanziarie o disoccupazione, dolori cronici, suicidi in famiglia, fattori genetici e biologici, conflitti relazionali, cessazione di un rapporto di coppia, assenza di sostegno sociale, esperienze traumatiche o maltrattamenti, discriminazione, esperienze migratorie stressanti, catastrofi naturali e guerre, stigmatizzazione di una richiesta di aiuto, insensibilità della copertura mediatica, accesso a mezzi e metodi letali, difficoltà d’accesso all’assistenza sanitaria. Mentre, per quanto riguarda i fattori protettivi, sono importanti: la fiducia in se stessi, una buona autostima, la capacità di gestione dello stress e delle proprie emozioni, le competenze sociali, le relazioni costruttive, le prospettive personali e professionali, la religiosità, una buona rete sociale, campagne e programmi istituzionali che diffondano informazione e sensibilizzazione.

Le psicologhe del Filo Rosso raccomandano di non perdere mai la speranza e di saper chiedere aiuto e sostegno quando sentiamo che la situazione sta precipitando, senza avere paura o vergogna dello stigma sociale.

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